Francesco Guccini: "Noi montanari siamo come marinai" - La Nuova Ecologia

2022-07-23 05:10:55 By : Mr. jing xie

Nelle sue opere Francesco Guccini ricorda più volte gli anni dell’infanzia trascorsi sulle montagne dell’Appennino, nella sua Pàvana. Quei monti che è tornato ad abitare da più di vent’anni. A Pàvana, nel 1989, dedica il suo primo romanzo, Cròniche epifaniche. Un forte senso di appartenenza ai luoghi di origine ha segnato la sua poetica, diventando un tema ricorrente di altri suoi romanzi, come di molte sue canzoni lungo cinquant’anni di onorata carriera. Ecco un estratto della sua prefazione al libro “Appennino Bike Tour. 3.100 km di pedalate facili lungo stradine secondarie”, scritto da Sebastiano Venneri per Mondadori.

Sono nato a Modena, ma i miei primi cinque anni di vita li ho trascorsi al mulino di Pàvana. Poi da Modena sono andato ad abitare a Bologna, dove sono rimasto per quarant’anni, fino al 2001. Da allora sono tornato fisso a Pàvana.

Ogni occasione era buona per “scappare” sulle montagne del mio Appennino: a Natale, a Pasqua, d’estate. […] Pàvana, il Mulino e l’Appennino mi hanno fornito un imprinting che mi ha segnato per tutta la vita […]. Ogni canzone, ogni libro che ho scritto sono stati naturalmente influenzati dal mio bagaglio personale, dal cammino che ho scelto di percorrere, dai ricordi e dalle esperienze che ho affrontato. E così tanti personaggi che ho descritto vengono da qui. Evidentemente queste belle montagne sono il mio bagaglio di vita. A Pàvana ci sono le mie radici, non ne ho mai fatto mistero. Un esempio? Il Mulino di Chicon, che eredita il suo nome da quello del mio bisnonno […]. Io l’ho visto funzionare da piccolo. Era una sorta di centro di intrattenimento, una specie di piazza. Chi veniva coi sacchi di grano, portati in spalla o dai muli, aspettava la fine della macinazione, raccontava le chiacchiere degli altri paesi. Si parlava di tutto, con tutti.

E sarebbe bello che fosse anche questo percorso in bicicletta lungo l’Appennino a riportare un po’ di persone da queste parti, con la voglia di chiacchierare, raccontarsi storie e ripartire un po’ più ricchi. Perché queste montagne arricchiscono chi le attraversa. […] Proprio qualche settimana fa ricordavo, con degli amici, come tante persone se ne siano andate da qui. […] Come dico spesso “i tetti, qui, non fumano più”; i camini sono spenti durante l’inverno perché non c’è più nessuno.

Questa cosa mi dispiace molto perché la Pàvana che ricordo io non esiste praticamente più. Ma io mi sento uno di qui, uno dell’Appennino. Noi montanari siamo come i marinai: giriamo il mondo e poi, quando viene il momento, torniamo a casa. E la mia casa è questa: queste valli, questi boschi, queste montagne.

‘L’odore di tiglio delle strade alberate Giorno d’estate, giorno fatto di niente Grappoli d’ozio danzan piano con me’ (Giorno d’estate in Due anni dopo, 1970)

‘Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo Non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi sembrerà Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio Voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio’ (L’albero e io in Due anni dopo, 1970)

‘Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te Come il fiume che ti passa attorno Tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei Lentamente, giorno dopo giorno’ (Radici in Radici, 1970)

‘Non so come la vide quando la nave offrì New York vicino Dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello E Pàvana un ricordo lasciato tra i castagni dell’Appennino L’inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello’ (Amerigo in Amerigo, 1978)

‘Ma guarda quante stelle questa sera fino alla linea curva dell’orizzonte, Ellissi cieca e sorda del mistero là dietro al monte Si fingono animali favolosi, pescatori che lanciano le reti, Re barbari o cavalli corridori lungo i pianeti’ (Stelle in D’amore di morte e di altre sciocchezze, 1996)

‘Io che guardavo la vita con calmo coraggio Cosa darei per guardare gli odori della mia montagna Vedere le foglie del cerro, gli intrighi del faggio Scoprire di nuovo dal riccio il miracolo della castagna’ (Il caduto in D’amore di morte e di altre sciocchezze, 1996)

‘Notti senza traguardi e cellulari E immortali avevamo forza e fiato come corsari La notte la lasciavi scivolare che poi svaniva col primo barlume Età acerba e una gran voglia di andare A parlare coi boschi e col fiume Mentre adesso quel mondo scompare sotto il bitume’ (Canzone di notte n. 4 in L’ultima Thule, 2012)

‘L’era, l’era ca’ mia I ero torna’ a ca’ mia Al me fiumme, ai mée monti, al mé mondo E Modna, e la só torre, l’eran armaste un soggno Soltanto un brutto soggno, che al Limentra Con la piéna d’inverno A l’portava via’ (Natale a Pàvana in Note di viaggio – Capitolo 1: venite avanti, 2019)

© La Nuova Ecologia 2020 lanuovaecologia.it è l’edizione digitale del mensile cartaceo la Nuova Ecologia (art. 3 c. 2 Decreto legge 18 maggio 2012 n. 63 convertito con modificazioni nella legge 16 luglio 2012 n. 103), "Nuova Ecologia (www.lanuovaecologia.it) è un periodico che ha percepito (già legge 7 agosto 1990 n. 250) e percepisce unicamente i contributi pubblici all’editoria (legge 26 ottobre 2016 n. 198, d.lvo 15 maggio 2017 n. 70) registrata al Registro della Stampa del Tribunale di Roma n. 543/1988 - dir. resp.: Francesco Loiacono - Editoriale la Nuova Ecologia soc. coop. via Salaria n. 403 Roma - n. ROC 3648 P.Iva 04937721001

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