Grano tenero tra geopolitica e realtà italiana, intervista a Riccardo Agugiaro

2022-07-23 05:22:53 By : Ms. Christie Zhang

Questo articolo nasce dalla voglia di capire un po’ di più sulla questione rincari e sul mondo del grano tenero, prodotto importante alla base di alimenti centrali della dieta italiana come pane e pizza. Per far questo abbiamo chiesto aiuto a Riccardo Agugiaro, amministratore delegato di Agugiaro & Figna Molini, gruppo leader italiano per la macinazione del grano tenero, con stabilimenti a Collecchio (Pr), Curtarolo (Pd) e Magione (Pg): «L’azienda nasce nel 2003 dalla fusione di due storiche famiglie dell’arte molitoria italiana che hanno saputo integrare le rispettive competenze ed esperienze. La nostra missione è rimasta sempre la stessa: portare in tutto il mondo farine e semilavorati di altissima qualità».

Prima di iniziare la chiacchierata alcuni dati per inquadrare il fenomeno. La produzione mondiale di grano tenero si aggira attorno a 772 milioni di tonnellate (Mt), per il grano duro si supera di poco i 32 Mt. I maggiori produttori nell’Unione europea sono Francia e Germania, rispettivamente con produzioni medie intorno a 36 Mt e 22 Mt, mentre tra i Paesi extraeuropei vanno segnalate le produzioni di Russia (mediamente intorno a 77 Mt), Stati Uniti (49 Mt), Canada (29 Mt) e Ucraina (29 Mt). Senza tenere conto di Cina e India che in termini assoluti sono i maggiori produttori a livello globale di grano tenero (rispettivamente 135 Mt e 106 Mt), ma non sono considerati player internazionali in quanto le loro produzioni sono destinate, per la maggior parte, al mercato interno.

L’Italia importa il 60% del grano tenero necessario al proprio uso interno. I maggiori Paesi di approvvigionamento sono: Ungheria (17%), Francia (15%), Austria (9%), Croazia e Germania mentre dall’Ucraina arriva solo il 5%.

Le esportazioni di frumento tenero dai Paesi in guerra sono indirizzate, per la maggior parte, verso Egitto, Tunisia e Turchia, dove si usa grano tenero base panificabile, un grano semplice, mentre in Italia viene richiesto un grano di qualità superiore, con livelli proteici più alti (fonte Ismea dato medio 2020-2022).

Ma, allora, se l’Italia sostanzialmente non importa grano tenero dalla Russia e ne importa in quantità minime dall’Ucraina, a cosa sono dovuti gli attuali rincari? «Sono arrivati un po’ di nodi al pettine. Con la globalizzazione abbiamo dato per scontate troppe cose e a partire da quest’anno assisteremo a grandi, inevitabili cambiamenti. Partiamo da un dato: il prezzo del grano, come di altri cereali, è sempre stato molto basso su tutto il mercato mondiale. La differenza di prezzo tra quanto pagavo il grano io, sino a qualche mese fa, e quanto lo pagava mio nonno è minima. Questa situazione danneggia gli agricoltori, perché una remunerazione così bassa impedisce loro di avere una retribuzione adeguata e di lavorare al meglio e investire».

La crisi sta colpendo i fondamentali del mercato. Vediamo quali sono i legami con la guerra in corso:

A tutti questi aspetti determinati dalla guerra in Ucraina, devono aggiungersi gli effetti della crisi climatica. L’anno scorso, ad esempio, l’aumento smisurato della temperatura in Canada e Usa ha fatto precipitare la produzione (specialmente di grano duro) e questo ha influenzato già gli aumenti autunnali:

«E nella Pianura Padana le piogge di qualche giorno fa non hanno risolto la siccità dovuta a 100 giorni di assenza di precipitazioni. La crisi climatica va affrontata subito con molto coordinamento tra i vari soggetti della filiera per evitare che le soluzioni non siano sostenibili e, davanti a eventi come la guerra, non siano più praticabili. Arrivando al paradosso non solo di abbandonare quegli obiettivi che l’Europa ha fissato, ma addirittura di tornare indietro».

Passiamo ai trasporti: «Già con la pandemia da Covid tutta la logistica dei container ha subito un duro colpo. Abbiamo dato per scontato trasporti disponibili e a un costo fisso, senza pensare che un giorno la disponibilità potesse venire meno o i prezzi salissero di molto o tutte e due. Il trasporto è una voce che inizia a incidere molto sul prezzo finale. Mancano i treni, siamo circondati dal mare e facciamo tutto via gomma. Quando cominciano a mancare i camionisti e aumenta il carburante, la situazione diventa insostenibile. Il trasporto incide circa 50/60 euro a tonnellata per il grano che arriva dalla Francia. A questo si aggiunga che mancano anche adeguate strutture di stoccaggio. Se va a fare un giro in Canada, che tutti bistrattano, vedrà che ce ne sono di incredibili: efficienti, pulite e divise per tipologia. In Italia adesso iniziano a essercene alcune molto belle, ma la maggior parte sono fatiscenti e inadatte. Noi non abbiamo grandi estensioni di grano, ma abbiamo tanti piccoli coltivatori e tanti tipi di grano. Ma quando trasportano il loro grano ai centri di raccolta e questo ha una struttura non adatta per lo stoccaggio, la merce inevitabilmente viene mischiata e quindi, automaticamente, declassata. Come fa il mulino a valorizzare il grano di chi ha lavorato bene? Se vogliamo pagare meglio i coltivatori dobbiamo investire perché si faccia e si garantisca la qualità, e in Italia sono tante le aziende che hanno un ottimo prodotto».

È una domanda che si sente spesso in questo ultimo periodo: «Il prezzo del grano dipende da tre fattori: dalla quantità disponibile, dalle previsioni di semina dell’anno successivo e dalla qualità. In questo momento storico la disponibilità del grano è bassa (crisi climatica in nord America e guerra). A questo si aggiunga che le previsioni di semina in Ucraina sono molto basse perché si semina in questa stagione e non in autunno come in Italia. Quindi ho due problemi: non ho il raccolto attuale e non posso contare su quello del prossimo anno. L’unione di queste due cose sta alzando il prezzo. In Italia la questione è diversa perché incide il terzo fattore, la qualità. La maggior parte del grano ucraino va in Egitto, Africa in genere, perché hanno bisogno di un grano base adatto alla panificazione, non hanno bisogno di qualità in termini di livello proteico. I clienti italiani sono i più esigenti del mondo per vari motivi: abbiamo cento tipi di pane e abbiamo bisogno di grani particolari; quindi noi non compriamo il grano dell’Ucraina perché non ci va bene per quello che dobbiamo fare, ma lo compriamo ad esempio dall’Ungheria o dall’Austria perché per le nostre produzioni è ottimo, ricco di proteine. Per noi è difficile coprirci con i futures in borsa: perché magari io mi compro un grano con future ma poi ho bisogno che il grano fisico che mi arriva in mulino abbia certe caratteristiche; non posso prenderne uno generico per panificazione, che è quello che la borsa garantisce. Non solo Agugiaro, ma tutti i mulini sono abituati ad andare dai contadini, dai consorzi agrari o dai buyers e prendere campioni e analizzarli».

«Innanzitutto i mercati sono mondiali quindi se aumenta il prezzo del grano, non è che se uso solo grano italiano costa meno; anzi, aumenta esattamente come gli altri grani. Dirò di più. Se voglio comprare grano estero, al costo della materia prima dovrò aggiungere il costo del trasporto. Il grano italiano costerà però comunque come il grano estero di qualità più il prezzo del trasporto applicato per portare la merce in Italia. Questo perché c’è la domanda in grado di assorbire tutta la produzione interna. Ma il fatto più importante è che l’Italia non è autosufficiente e non lo potrà mai essere: la storia insegna. L’Italia per la sua conformazione non ha spazi a sufficienza. E soprattutto se per coltivare grano smetto di coltivare piselli e altro, uccido la biodiversità agricola. Le colture di grano hanno bisogno di estensioni enormi per avere qualità e rese sostenibili. Sostituire le colture e eliminare le rotazioni per noi non è una soluzione concepibile. Qualche ettaro in più si può seminare, ma bisogna stare attenti perché se si fanno queste scelte a tempo di record, potrebbero verificarsi altri danni. Il grano, essendo coltura estensiva, potrebbe portare via prati, boschi, tutto quello che può aiutare l’ambiente.

Mi preoccupa che questa crisi possa provocare un rallentamento di alcune riforme europee importanti come la Farm to Fork. Sul grano italiano dobbiamo batterci tutti insieme affinché quel 40% che coltiviamo sia il migliore grano possibile. E per fare questo dobbiamo portare accordi di filiera, perché solo le filiere possono garantire la qualità. Serve un grosso accordo tra coltivatori, mulini e clienti finali.

È un passaggio importante che mi sta molto a cuore. Non basta coltivare bene; bisogna costruire silos che permettano di dividere il grano eccellente da quello meno buono e le varie tipologie, quindi bisogna fare investimenti strutturali. Il Pnrr è un’ottima occasione da non perdere. Solo chi ha centinaia di ettari ha economie di scala che gli permettono di riuscire ad andare in pari o guadagnare un po’. Ma in Italia se si vuole guadagnare bisogna fare una qualità alta per cui si possa pagare un valore aggiunto e rispettare la biodiversità dei grani, sapendo però che noi non avremo mai un grano altamente proteico. Perché in Toscana si fa pane pieno che dura una settimana e a Milano si fa la rosetta? I mulini di Milano di rifornivano dall’Austria, dove hanno grani di forza: è per quello che a Milano abbiamo rosetta e panettone. In Toscana si usava il grano locale che è più debole. Al sud avevano il grano duro e si sono inventati il pane con grano duro come quello di Altamura. È la nostra ricchezza, la nostra biodiversità sulla tavola: non possiamo appiattire tutto».

Torniamo sulla questione dei prezzi: «Non bisogna fare in questo momento una polemica sul grano. Ricordiamoci che il prezzo è stato per troppo tempo bloccato: ho delle fatture di mio nonno degli anni 70 era un po’ più basso di ora ma non molto. Io lavoro dal 2002 e il prezzo più basso che ho visto è stato 170 € a tonnellata. Ma di solito oscilla tra i 190 e i 210. Stiamo parlando di grano base panificabile, il primo livello sopra il mangime. Però vorrei evidenziare una cosa. Il grano è un prodotto simbolo, e quindi non voglio sottovalutare l’incremento di prezzo, ma non trovo corretta l’eccessiva attenzione attorno a questo cereale, a volte con titoli dei giornali sensazionalistici. Certamente è un aumento importante, in parte, se ben investito nella filiera, anche necessario. Ma penso all’evoluzione che hanno avuto in questo periodo l’energia e i combustibili che in parte vanno a influenzare il prezzo del grano e di altri prodotti anche di generi diversi, dal telefonino all’automobile. Purtroppo stiamo assistendo a incrementi di prezzi notevoli su quasi tutti i prodotti, molti dei quali non facilmente spiegabili».

Sicuramente il prezzo del grano non tornerà più a livelli precedenti, l’importante è che l’incremento non venga divorato dalla speculazione ma, come sottolinea Riccardo Agugiaro, venga riconosciuto all’agricoltore che fa qualità e aiuti a migliorare le infrastrutture. È dunque fondamentale costruire una forte e salda relazione di filiera, elemento essenziale per una politica del grano che guardi al futuro in modo ottimistico. Slow Food segue il settore cerealicolo, e il grano in particolare, con un progetto a livello europeo: Slow Grains che riunisce agricoltori e trasformatori che hanno come base una produzione e una trasformazione sostenibile.

a cura di Valter Musso, v.musso@slowfood.it

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