Tutte le tappe del Giro d'Italia 2022, in sintesi - Girodiruota

2022-09-10 06:32:54 By : Ms. shelly bian

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Mentre disegnava il Giro d’Italia 2022 Mauro Vegni probabilmente canticchiava le note di Piero Focaccia, storpiando le parole di “Stessa spiaggia, stesso mare”. “Per quest’anno lascia stare / sopra i duemila non andare / Per poterti rivedere / Per tornare, per restare insieme al Giro“.

C’aveva provato a resistere il direttore del Giro, a continuare a credere che solo le grandi montagne fanno un grande Giro. I cambiamenti climatici però si fanno sentire e in montagna ormai non si sa più che fare. Aggiungeteci poi che ormai un direttore del Giro non può più fare come vuole e che i corridori hanno un minimo di voce in capitolo sull’esigere un minimo di sicurezza in più (venissero ascoltati davvero per la sistemazione dei finali di tappa sarebbe assai meglio), ed ecco che anche il buon Mauro Vegni ha dovuto allargare le braccia, alzare gli occhi al cielo e dire che no, quest’anno sopra i duemila non vi ci porto, eccezion fatta per la penultima tappa, che almeno l’ultima tappa alpina…

C’è tanta salita a questo Giro d’Italia versione 2022, questo è indubbio: 50.580 metri di dislivello sono ben più di quelli che i corridori hanno dovuto percorrere negli ultimi anni, uno dei più grandi della storia. Ma non il genere di salite che piacciono a Vegni, quelle lunghe, infinite, soprattutto alte, che sfiorano il cielo e che una volta in cima fanno sentire piccoli anche i grandi.

Pur di inserire scalate da oltre venti chilometri, il direttore del Giro d’Italia ha invertito la geografia del ciclismo. Le ha piazzate nelle tappe del sud e del centro Italia: l’Etna, Portella Mandrazzi, Monte Sirino, il Blockhaus, concedendosi solo il Crocedomini.

Ha soprattutto in questo modo modernizzato il Giro d’Italia, l’ha reso davvero aperto a tanti, non a tutti, i diritti nel ciclismo, almeno per la classifica generale, hanno delle limitazioni sacrosante, naturali, insuperabili. L’ha avvicinato al moderno correre, quello che ha allungato la distanza dello spettacolo, riportato in gruppo il coraggio di provare la mattata.

Le indicazioni degli anni scorsi sono state usate per creare un percorso che solo a un’occhiata distratta può sembrare più semplice. Non lo è, anzi. Le tappe più belle, quelle nelle quali la battaglia è stata maggiore, non erano i tapponi da seimila metri dislivello, ma quelle con una salita dietro l’altra che a far di conto ne segnavano la metà e pure meno. Non ce ne sono mai state tante in percorso.

Ovviamente, come sempre accade, a farne le spese sono i velocisti, sempre che di velocisti-velocisti, ce ne siano ancora molti. Per loro le occasioni potrebbero essere meno di quelle che sperano. Se si daranno da fare i professionisti del colpo a sorpresa e delle fughe disperate potrebbero essere proprio poche. Toccherà far lavorare molto la squadra.

A proposito di fughe. Il percorso le chiama, le vuole, strizza loro l’occhio. E chissà che non ne esca una capace di sconvolgere tutto il romanzo del Giro. Queste tre settimane sono l’occasione giusta per farlo.

Centonovantacinque chilometri che si concentreranno in cinquemilaseicento metri, gli ultimi, quelli che puntano all’insù verso la partenza della pista da bob su rotaia di Visegrád, a un passo dal castello che guarda dall’alto la cittadina. Cinque chilometri che salgono abbastanza dolci, ma salgano e negli ultimi due chilometri le pendenze non scendono mai sotto il cinque per cento. Di gente veloce e tenace in gruppo ce ne è parecchia, da Mathieu van der Poel in giù.

Si finisce ancora a puntare verso il cielo, ma questa volta si è da soli contro il tempo. Gli ultimi milletrecento metri sono tutti in salita, non troppo dura, ma uno strappetto tosto c’è. Gli specialisti del cronometro non impallidiranno. Anche perché i problemi veri sono prima. Qualche rettilineo, nemmeno troppo corto per prendere velocità intervallati da parecchi curve. Servono gambe, questo è ovvio, ma pure abilità di gestione del manubrio. E l’asfalto, suggerisce chi su quelle strade ci pedala spesso, potrebbe essere un bel tranello.

A vederne il profilo altimetrico sembrerebbe giornata iper tranquilla: duecentouno chilometri da pedalare e nemmeno un migliaio di metri di dislivello. E se va tutto come dovrebbe andare sarà tappa tranquilla davvero. Ma…, già c’è un ma che potrebbe scombussolare i piani. E questo ma riguarda gli ultimi centoventi chilometri, che sono tutti lungo il lago Balaton, che è lungo e stretto e soprattutto ventoso, parecchio ventoso. E cambia spesso di intensità e direzione.

Prima tappa in Italia e prima vera salita. Sono oltre tremilacinquecento i metri di dislivello. I primi ottanta chilometri sono nervosi e insidiosi, buoni per cercare la fuga, certo, e proprio per questo rischiosi. L’ascesa finale è lunga ventidue chilometri e spicci, il tratto duro è più o meno a metà. Poi la strada molla un attimo e sale intorno al cinque per cento. Indipendentemente da quello che faranno i corridori lo spettacolo lo garantirà il paesaggio: è la classica tappa che piace forse più a chi è costretto dal proprio compagno a un pomeriggio di Giro d’Italia.

Ci sono quasi duemila metri di dislivello da superare, vero. C’è una salita di oltre venti chilometri da pedalare, altrettanto vero. Ma, con ogni probabilità, a Messina i corridori arriveranno assieme, in volata. E probabilmente non saranno tantissime.

Difficoltà altimetriche quasi nulle, ma pensare che sarà una gita di piacere potrebbe essere un errore. Perché è tutta lungo la costa, il mare porta in strada un bel po’ di viscidume e il vento a maggio nella riviera tirrenica gira parecchio e qualche volta si fa sentire.

Tutto starà alla volontà dei protagonisti. Potenzialmente potrebbe essere ricordata come una delle tappe più belle del Giro d’Italia, o finire in quell’ampio classificatore di scartoffie dove si archiviano le possibilità mancate. I corridori dovranno superare oltre 4.500 metri di dislivello. Monte Sirino è salita ben più impegnativa di quello che il dato della pendenza media (3.9 per cento) farebbe immaginare (ma di dati ormai si abusa e si crede che possano spiegare ogni cosa); la strada che porta alla montagna grande di Viggiano è un muro lungo sei chilometri e quella che porta agli impianti di risalita Sellata – Pierfaone è perfetta per provare il colpo a effetto. Da una tappa così se ne potrebbe uscire parecchio male, con tutti i piani d’inizio Giro completamente scombinati.

Controllare una tappa del genere è missione parecchio difficile. Le strade sono tortuose, di rettilinei buoni a far velocità ce ne sono pochi ed è messa in mezzo tra due frazioni complicate. La fuga potrebbe arrivare e pure prendere un bel margine.

Inizio all’insù buono per far partire la fuga di giornata e lanciare chi vuole mettere in saccoccia punti per la maglia blu. Poi tratto buono per risparmiare energie e chiarirsi le idee. Infine due volte il passo di Lanciano da scalare e poi su fino al Blockhaus. Fanno in totale cinquemila metri di dislivello. Per arrivare all’arrivo ci sono tredici chilometri a oltre l’otto per cento di pendenza media. Gli ultimi dieci sono quasi sempre sopra il nove. Se si vuole fare la rivolta la si può mettere in cantiere. Se si vuole fare la rivoluzione tocca ingegnarsi di squadra dalla cima del passo Lanciano a Roccamorice la strada sale sempre e con i giusti compagni di viaggio (e di squadra) non sarà semplice rientrare. Ma siamo nel campo dei sogni. Forse.

La seconda settimana la settimana inizia con una tappa facile facile per centotré chilometri e parecchio rognosa per novantatré. Si passerà per casa di Michele Scarponi, sarebbe andato a bordo strada a salutare i girini e poi al traguardo a godersi la festa. E potrebbe essere festa buona per i coraggiosi. Siano essi della fuga o del gruppo. Non ci sono erte terribili, nessun muro verticale, ma il su e giù è continuo e c’è il rischio che possa diventare indigesto.

Duecentotré chilometri e trecento metri di dislivello. C’è poco da provare a inventarsi un finale alternativo alla volata. Anche perché negli ultimi chilometri la strada è bella e senza grossi tranelli planimetrici.

La prima versione di questa frazione era tutta un’altra cosa. C’era il Gpm sul Monte Becco a una ventina di chilometri dall’arrivo e una discesa tecnica da affrontare. Hanno detto che sarebbe stata troppo pericolosa. Per gli uomini di classifica i pericoli dovrebbero essere pochi oggi.

Altra tappa interlocutoria, buona per godersi una volata. Difficile possa andare diversamente.

Due volte sul Bric del Duca, due volte sul Colle della Maddalena, poi picchiata verso Torino. Prima dell’arrivo c’è un ultimo strappo, quello dentro al parco del Nobile. Non è un gran premio della montagna, ma tira parecchio. C’è la possibilità di tentare di portare a casa parecchi secondi, ma serve giocare d’anticipo, oppure si può soltanto rosicchiare qualcosa. La tappa è bellissima, ma è un po’ sacrificata perché prima di tre tappe di montagna. Con un percorso così, assistere a un marcamento difensivo sarebbe un gran peccato.

Prima della strada che sale fino a Cogne ci sono due belle salite e due belle discese, tecniche e veloci. Saranno però gli ultimi ventidue chilometri di ascesa a dire quanto questa tappa potrà pesare sul romanzo del Giro d’Italia. Fino a Vieyes, una dozzina abbondante di chilometri dall’arrivo, la strada sale abbastanza dura, poi molto più tranquillamente e senza strappi. Se qualcuno proverà a fare la differenza nei primi nove chilometri in cima può arrivare con un vantaggio considerevole. Altrimenti tocca trovare il momento giusto per raggranellare qualcosa. E potrebbe essere ben poco, forse l’abbuono soltanto.

Tappa sopra i duecento chilometri, tre salite dure che ne segnano il cammino. Il Mortirolo è in mezzo, ma lo si affronta dalla parte meno dura, che poi è meno dura solo fino a un certo punto. La salita di Teglio non darà punti per la classifica degli scalatori, ma sono quasi sei chilometri tosti. Poi c’è il Valico di Santa Cristina, che è salita tosta, cattiva, irta, l’ultimo atto di quella tappa straordinaria di Marco Pantani al Giro del 1994. Dalla cima ci saranno quattro chilometri e mezzo di discesa e uno e mezzo di falsopiano verso l’arrivo. Sarà una giornata lunga.

Quella di Klovrat è una signora salita. Quella che porta a Castelmonte pure. In mezzo però c’è qualche chilometro di troppo. Questa tappa però potrebbe essere meno transitoria di quello che si crede. Al termine di questa frazione mancheranno solo due giorni di Giro d’Italia. E a qualcuno potrebbe venire l’idea che il Fedaia non può essere la soluzione a ogni velleità di rivalsa.

O tutto o niente. Sempre che ogni cosa non sia ormai quasi decisa. Il San Pellegrino da Cencenighe è una mazzata di salita. Il Passo Pordoi è discretamente lungo e soprattutto altro, Cima Coppi, il Passo Fedaia ha pendenze che potrebbero stendere chiunque. Le Dolomiti sono il saluto finale di questo Giro d’Italia alla montagna. Ci sono poco più di quattromilacinquecento metri di dislivello da far fruttare. C’è soprattutto la dittatura dell’ultima occasione buona. Non sempre è un bene.

Si finisce come un anno fa contro il tempo. Che i velocisti non piacciano troppo alle grandi corse a tappe si vede anche da questo. È più spettacolare finire con una cronometro rispetto a una conclusione in volata? Chissà. Certo però un incentivo a chi nonostante tutto, il fisico soprattutto, si danna per finire il Giro una passarella finale la si potrebbe pure concedere.

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L'Uci ha fatto poco per garantire invece la sicurezza in corsa dei corridori. È troppo chiedere a a chi dovrebbe garantire la sicurezza dei federati di impegnarsi affinché vengano escluse dagli ultimi chilometri di gara pericoli non necessari? https://girodiruota.com/perche-luci-se-ne-frega-della-sicurezza-dei-ciclisti/

Al #TDF2022 @WoutvanAert è stato un terremoto, una scossa di eccitazione, un rimedio contro l’infelicità. Davvero siamo disposti a tutto questo per vederlo lottare per la maglia gialla? http://bit.ly/3OAua9o

Una felicità esplosiva, che non esce del tutto mentre pedala, ma che poi esplode fuori, perché il ciclismo, il suo ciclismo almeno, quello di @CUttrupLudwig, non è poi così diverso dal teatro di Grotowski #TDFF https://www.ilfoglio.it/sport/2022/07/27/news/cecilie-uttrup-ludwig-e-una-liberazione-4272630/