La Lettura della Domenica di Luigi Lembo - Le ficacciate - Capri Press

2022-06-25 06:01:05 By : Ms. Eva Wan

 “Dinnanzi al quartiere Le Boffe, assistiamo al miracolo che una schietta e pura architettura paesana può compiere in un agglomerato urbano”. Così descriveva Amedeo Maiuri nel 1956 un’area ancor oggi fortunatamente lontana dall’inquinamento del turismo di massa.  Parliamo  del quartiere delle Boffe che nasce e si consolida a partire dall’istituzione della Parrocchia in Santa Sofia, alla fine del XVI secolo. La sua caratteristica piazzetta a forma allungata, cuore del quartiere, in antico era denominata «Le ficacciate»  ed era lì che si svolgeva il mercato del paese. Vi si teneva soprattutto il mercato bovino, si fittavano asini e muli, si tenevano esercitazioni belliche, si riunivano i cacciatori in partenza per le battute e si accumulavano i pali di castagno per la vendita (impiegati nella coltura di limoni e viti). Da qui partiva un dedalo di stradine che separava singoli edifici o i gruppi di case addossate. Un labirinto, silenzioso e discreto, in cui ancor oggi ci si può perdere piacevolmente. Tanti punti si assomigliano tra loro e rischiano di far confondere il visitatore poco esperto. I vicoli, quando non ciechi, si incrociano tra loro in una ragnatela che chiaramente non è funzionale ma che origina proprio dalle delimitazioni tra le diverse proprietà. Le abitazioni spesso isolate  hanno la caratteristica delle tipiche case a corte. Le case infatti, nascoste dietro alti muri e portoni in legno, avevano e hanno quasi sempre una piccola corte, con locali destinati al servizio e al lavoro (focolari, lavatoi, cantine, cellai, stalle), e la scala aperta che conduce alla terrazza pergolata che disimpegna le camere di abitazione. La caratteristica del quartiere è che gli ambienti sono quasi esclusivamente coperte da volte a gàveta usate a partire proprio dal ‘500 definite a sesto «’ngannato» cioè ribassato. E proprio dall’aspetto esterno delle gavete, che emergono come rigonfiamenti (boffe) dai rinfianchi della muratura, deriverebbe il nome del quartiere.  La denominazione “Le Boffe”, al plurale, compare per la prima volta nel 1689. Secondo alcuni il luogo prenderebbe il nome da una storpiatura di Elboef, il nome del principe che scoprì nel 1808 l’antica Ercolano e che comandò la guarnigione francese a Capri (quindi molto dopo il 1689 menzionato prima). Molto più probabile è invece che il nome derivi dalle “boffe” appunto, le enfiature contenute sotto la crosta del pane, a ricordare i caratteristici tetti a padiglione delle case, talora detti “a boffetta”. Fino al ‘600 qui vi erano case contadine sparse. L’abitato antico di Anacapri occupava infatti la fascia più protetta ai piedi della montagna. Le cose cambiarono con la nascita della nuova parrocchia, Santa Sofia, nel 1596, che determinò lo spostamento a valle dell’epicentro di sviluppo urbano. Fu così che le costruzioni de Le Boffe si espansero, addossandosi tra loro in aggregati ramificati “a corallo”. L’area si sviluppò soprattutto nel ‘700 e ‘800, divenendo, insieme a quella di Caprile, la zona a maggior densità abitativa del paese. Dal Dopoguerra iniziò il declino de Le Boffe, fortunatamente non accessibile alle automobili e tagliate fuori dai percorsi turistici, rispetto ai  grossi numeri alle zone di Capodimonte, con villa San Michele, piazza Vittoria, via Orlandi. Recentemente, la trasformazione di molte case in guest house e B&B sta in qualche modo rivitalizzando in quartiere. Ma ogni casa presente nel contesto può considerarsi un pezzo di storia, a cominciare dalla casa del Vescovo una casa d’impianto tardo seicentesco che era nelle disponibilità del clero locale. Fu proprietà del sacerdote Farace, per divenire poi oggetto di un’intricata querelle ereditaria nota come il “lascito Farace”. La proprietà Ariviello, che affaccia su piazza Boffe, si estendeva con il suo agrumeto fino a via Padre Reginaldo Giuliani costeggiando il vico Ariviello. Detta anche, impropriamente, “il mulino”, questa costruzione era sede di un frantoio oleario d’uso pubblico, attivo fino agli anni ’70 del Novecento.  Al lato di palazzo Ariviello vi è l’abitazione della famiglia Celentano, che ospitava anche un frantoio e un mulino per la macinazione del grano. Dell’ampia ex proprietà di Salvatore Savastano va poi ricordato l’alto muro “a dispetto”, alzato a bella posta per impedire la vista ad una dirimpettaia. C’è poi Casa Cavalcanti che appartenne al regista e produttore francese Alberto Cavalcanti. La  Casa Di Pace, già studio del pittore Sain situata in un piccolo slargo del I vico Boffe, con al centro un elce. Casa Napoli, appartenuta al compositore, scultore e disegnatore Gennaro Napoli . Al civico 62 c’era la residenza del libraio ed editore tedesco Eugen Behle. E che dire poi della Casa della “Zùccara” che vide i soggiorni del compositore Francesco Santoliquido. Va ricordato infine che, durante i lavori per la costruzione di villa San Michele a Capodimonte, iniziati nel 1895, Axel Munthe risiedeva quasi sicuramente al I vico Boffe n.8, dove alcuni frammenti marmorei romani fanno mostra di sé nei muri esterni. Nelle adiacenza è stata eretta infatti una statua dedicata al celebre medico svedese.

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